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Lettera Circolare del Commissario Apostolico

Roma, 27 novembre 2013

Carissimi Confratelli,

Carissimi laici amici, collaboratori e benefattori del nostro Istituto, in particolare i componenti del nostro Terz'Ordine e M.I.M.

Come già è noto a non pochi di voi, che hanno potuto consultare taluni mezzi di comunicazione, in particolare elettronici, oppure hanno partecipato a riunioni della Missione dell'Immacolata Mediatrice (M.I.M.), il nostro amatissimo Confratello Padre Alfonso Maria Bruno, da me chiamato al difficile ed impegnativo incarico di Segretario Generale dell'Istituto, è stato vittima di una lunga, persistente e maliziosa campagna di denigrazioni, riguardante soprattutto l'attività da lui svolta dopo il commissariamento dell'Istituto con il fine di ricondurlo, sotto la mia guida ed il mio consiglio, ad una autentica aderenza con il carisma originario e fondativo.

Tale azione diretta contro Padre Alfonso Maria Bruno non poteva assolutamente lasciarmi insensibile e indifferente, dato che ogni Superiore, sia egli Vescovo diocesano o preposto ad un Istituto di Religiosi, deve rispettare i diritti dei suoi presbiteri e deve far sì che essi siano rispettati anche dagli altri fedeli: tra questi diritti, uno dei primi e più importanti è quello alla dignità ed onorabilità personale.

Ciò non toglie che, ove siano formulate contro un Presbitero delle contestazioni, il Superiore debba valutarne con cura il fondamento; tuttavia, nel caso specifico di Padre Alfonso Maria Bruno, tale valutazione risultava superflua, in quanto le accuse vertevano su di una attività svolta sotto la mia guida o comunque di concerto con l'Autorità da me esercitata.

Dirò anzi che tanto maggiore era lo zelo dimostrato in essa da Padre Bruno, tanto più malvage e virulente risultavano le calunnie nei suoi riguardi, avendo i loro promotori rovesciato completamente la prospettiva in base alla quale l'attività e la figura di un Sacerdote devono essere valutate.

Per effetto di tale sovversione dei valori, l'opera svolta per il bene dell'Istituto veniva da costoro ritenuta dannosa.

In base al disposto del Canone 670, "l'Istituto ha il dovere di procurare ai membri quanto, a norma delle costituzioni, è loro necessario per realizzare il fine della loro vocazione"; e la vocazione, più che di beni materiali, necessita - per realizzare i suoi fini - di beni spirituali, primo tra tutto il rispetto dovuto al Sacerdote.

Essendo mancato da parte di alcuni tale rispetto, era mio dovere ripristinarlo, affrontando costoro a viso aperto, senza temere la potenza da loro ostentata, né le protezioni che potevano sostenerli.

Il Canone 619 precisa che i Superiori devono agire verso i Sacerdoti loro sottoposti con fraternità: può forse un fratello, specie se maggiore, omettere di difendere un altro fratello se questi è perseguitato ingiustamente o calunniato?

Per giunta, nel caso specifico, difendendo Padre Bruno - data la solidarietà che egli mi ha dimostrato fin dall'inizio della mia opera presso l'Istituto, e dato che tale solidarietà lo spingeva a conformarsi con zelo ai miei ordini - ho difeso anche me stesso: non per vanità, ma nella coscienza di avere agito per ottemperare alla volontà delle Autorità preposte alla competente Congregazione, e soprattutto alla volontà espressa personalmente dal Santo Padre, cui debbo incondizionata obbedienza.

Ed insieme con la persona di Padre Bruno, con la mia stessa persona, con l'Autorità della Congregazione e con il Santo Padre, ho difeso e protetto anche la comunità, sia quella dei nostri Religiosi, sia quella dei laici a noi vicini, sia infine quella più ampia ed universale costituita dall'intera Chiesa.

La calunnia nei confronti di un Sacerdote costituisce un attentato a tutta la comunità, in quanto si risolve in una perdita della fiducia riposta dai fedeli nel sacerdozio, e quindi dell'azione pastorale della Chiesa.

Infatti il chierico non "lavora" per il Vescovo o per il superiore, ma è al servizio di Dio e di tutta la comunità ecclesiale.

Se dunque la denunzia nei confronti di un Sacerdote risulta falsa, la parte accusante pecca gravemente, sia per il fatto stesso di aver affermato il falso, sia per il danno arrecato non solo alla buona fama del chierico, ma a tutta la comunità, avendo insinuato in essa il sospetto e il discredito nei confronti del ministero sacro, conferito mediante il Sacramento dell'Ordine.

Tanto più grave sarà inoltre tale responsabilità quando la diffamazione di un Sacerdote fosse diretta a dividere la Chiesa, creando falsi ed artificiosi motivi di conflitto al suo interno.

Mi incombe dunque, cari Confratelli e cari laici a noi vicini, il dovere di richiamarvi tutti al compito di difendere l'unità della Chiesa, insidiata dalle personali ambizioni di quanti risultano purtroppo affetti da uno smisurato orgoglio luciferino, che li spinge ad ergersi a giudici della Gerarchia, ad arbitri delle verità dogmatiche, a dispensatori di un Magistero da loro concepito su misura delle proprie convinzioni e delle proprie personali ambizioni.

A costoro vi invito a resistere, non cedendo né a minacce, né a lusinghe, facendovi forti del principio per cui "ubi Petrus, ibi Ecclesia", e soprattutto della parola contenuta nella Scrittura: "La verità vi farà liberi".

Vi benedico.

Padre Fidenzio Volpi O.F.M. Capp.

Commissario Apostolico